Esperienze pregne di vita per far conoscere la morte

I nostri figli, grazie ai mezzi di comunicazione, sono dei grandi “esperti” della morte sin da piccoli. Anzi delle morti. Conoscono la morte “finta”, quella esibita nei cartoni animati e nei film; la morte stile “CIS”, cioè quella degli obitori rappresentata in molte serie televisive; quella “giocata” nei videogiochi e che può essere sempre ri-giocata grazie a continue risurrezioni; quella “evitata” a tutti i costi tramite farmaci e lifting; quella “desiderata” a tutti i costi per chiudere con le sofferenze della vita.
Di una morte consocono poco o niente: quella “vera” e questo perchè essa è costantemente nascosta ai loro occhi e ai loro cuori. Muore il pesciolino della boccia: è saltato in mare! Muore il cane: è volato in cielo dove ha incontrato il nonno che da anni è in volo! Muore la zia: è partita per un lungo viaggio e a questo punto avrà fatto il giro del mondo più di una volta.
I funerali sono oramai uno spazio interdetto ai bambini e, a volte, anche agli adolescenti: manca solo che alla porta della chiesa sia appeso un cartello: “Io non entro ai funerali”, con un bel disegno di divieto d’accesso ai bambini.
La morte come parte del ciclo della vita non è più insita nella semplice e quotidiana esperienza della vita di un bambino a contatto diretto con la natura, in cui morte e vita sono le facce della stessa medaglia.
La morte rimane il segno più tangibile della sconfitta della volontà di potenza dell’uomo. La morte è uno di quei pochi fenomeni che l’uomo è costretto a inserire nella categoria dei misteri. La morte segna inesorabilmente che c’è un limite che rimane invalicabile.
In questo scenario, c’è da chiedersi se realmente noi adulti vogliamo accompagnare i nostri figli a fare i conti con la morte perchè essa mette in discussione alcuni pilastri su cui è costruito lo stile di vita odierno. Ma poi, a quale morte prepararsi? E ancora: ci si può realmente preparare ad essa?
L’accompagnamento a fare i conti con la morte non è allora una singola azione circoscritta ad un particolare evento, quale può essere la morte di un caro, bensì il lento procedere e accogliere di un lungo tirocinio quotidiano in cui i fatti delle vita stessa parlano di morte. Significa, insomma, permettere ai nostri figli, e a volte addirittura favorire, di vivere alcune esperienze e imparare da esse. Ne elenchiamo alcune che a nostro avviso sono un ottimo accompagnamento alla morte perchè pregne di vita: il limite, il dolore, la fine, la separazione, l’indipendenza.
Tanto per fare un esempio: la mamma o il papà accompagnano la loro figlia alla scuola materna: arrivati, la porta d’ingresso segna il limite oltre al quale il genitore non può andare; è la fine di una relazione fisica; questo provoca grande dolore, ma non è possibile altrimenti: è necessario separarsi; inizia una parte di giornata in cui si impara a vivere, per sempre poi, indipendentemente da mamma e papà.
Il bello è che in quella bambina convivono dentro di lei contemporaneamente il dolore per l’assenza e la gioia per quelle parole, immagini, sapori ed odori che mamma e papà le hanno donato fino a qualche ora prima.
Allora, la morte, quella “vera”, quando accadrà, ci troverà preparati a farci, tra le tante, anche una domanda: che cosa ha deposto dentro di me questa persona prima di morire?

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